Wednesday, February 07, 2007
'Garrincha, l'angelo dalle gambe storte.'

Continua al Teatro dell’Orologio “Narratori”, la rassegna di teatro di narrazione di ‘CinqueAnelliTeatro’. Per il terzo anno consecutivo la compagnia propone vecchi e nuovi spettacoli noncurante della polemica in atto sul teatro di narrazione e il teatro inchiesta.
E lo posso dire? Fanno bene.
La sterile ‘querelle’ riguarda la riflessione sulla definizione dell’evento teatrale, lo schieramento politico del narratore che investe e convince la platea, l’affermare che questa modalità espressiva non è affatto una novità, la banale accusa a performance di questo genere di essere così facilmente vendibili da renderne naturale e agevole la diffusione e quindi la notorietà, e il fatto che da qualche anno a questa parte, da Baliani e i vari Paolini, Celestini, Enia, mi perdonino le altre eminenze se non le ho citate, diciamo che è diventato un vero e proprio genere, quindi una moda. E come tutte le mode destinate a passare, e per tanti è giunta anche l’ora.
Mozioni irragionevoli che non prendono in considerazione l’unico fatto concreto: questo genuino filone raccoglie ancora un sacco di pubblico, allora, dunque perché estinguerlo prima che la ‘corrente’ si esaurisca da sola?
Una storia appassionata è sempre piacevole da ascoltare. L’argomento della trattazione diviene secondario attraverso l’entusiasmo dell’attore, che lo colora di sfumature tanto vivaci da renderlo apprezzabile anche agli occhi di uno spettatore indifferente al tema.
Questione di urgenza? Sentimento? Di bravura? Mah?! non mi interessa.
Io, che aborro il calcio, l’altro ieri ero all’Orologio a commuovermi per la storia di un calciatore:
‘Garrincha, l’angelo dalle gambe storte’, al secolo Manoel Francisco dos Santos.
Franco Valeriano Solfiti autore e attore dello spettacolo, per la regia di G. Fares, ci racconta la storia di un uomo che deve al calcio la notorietà tanto quanto la disgrazia.
Dati gli odierni e vergognosi fatti di cronaca, l’attore sarebbe potuto scadere in una digressione a proposito della violenza negli stadi e della corruzione, ma si è limitato ad accennarla soltanto, ed io personalmente, ho apprezzato.
Novanta minuti separano due fischi, uno di inizio ed uno di fine, non di una partita però, di una storia, della storia.
Solfiti prende spunto da una disputa tra i quartieri romani di Trastevere e Testaccio risolta con una partita di calcio e partendo dal dilemma del ‘miste’ su chi mettere in campo, e ci illustra in maniera pittoresca i ruoli dei giocatori: il portiere ‘ragno’,il muro innalzato dalla mediana, la punta che come un ariete deve sfondare la difesa e segnare, fino ad arrivare all’ala destra, ruolo defilato ma decisivo che introduce l’argomento principe: Garrincha, la più grande ala destra di tutti i tempi.
Cito: ” Una vita intera passata in quella zona del campo dove non esistono regole, dove l’unica regola devi essere tu, ai margini di quella linea bianca che separa il mondo da te: la folla dal singolo, il razionale dalla follia, la morale dal cuore, la prosa dalla poesia.”.
Manè Garrincha nasce con una grave malformazione alle gambe e la poliomielite contratta da bambino lo relega per tutta la vita ad una condizione mentale infantile. Lui vuole giocare a calcio, semplicemente, così dei suoi conoscenti lo invitano a partecipare ai dei provini per entrare in una squadra, al primo verrà scartato, perché si presenta senza scarpe, al secondo la carenza numerica dei candidati gli offre la possibilità di mostrare le sue capacità. Con la sua andatura claudicante, entra in campo: il Botafogo, squadra provinante, si rende subito conto che proprio quel difetto fisico gioca a suo favore, quelle gambe, dispare e deformi gli danno la possibilità di rendere incomprensibile all’avversario la sua finta. Inutile dire che viene subito ingaggiato. Fa vincere il vincibile alla squadra e regala alla sua nazionale due vittorie mondiali. Sarebbe potuto essere il calciatore più ricco del Brasile, ma a lui interessava solo giocare, e durante tutti gli anni di servizio, firma contratti in bianco, a causa del suo candore e la sua buona fede, senza esser mai regolarmente remunerato. Si ritira nel 1973 dopo un incidente d'auto ed un crudele calo di rendimento, dieci anni dopo muore in solitudine, povero e sopraffatto dall'alcool. Solo allora il Brasile si rende conto di aver dato troppo poco ad uno dei suoi figli che invece ha fatto molto per la sua nazione.
Solfiti ci racconta Garrincha con tutta la tenerezza necessaria alla storia, rendendo leggera attraverso la poesia, la drammaticità di questa vita; in scena è accompagnato dalle percussioni di Pietro Petrosini che sottolineano le atmosfere e i personaggi. I due performer risultano visibilmente sotto tono, ma ciò non toglie nulla alla godibilità del valido spettacolo.


Gio'-rgia

 
posted by gio' at 3:44 PM | Permalink | 2 comments